NAPOLI COMMEMORA PASOLINI. “Vivi nel ricordo” è il programma di iniziative nel segno dell’eredità dell’intellettuale rivoluzionario assassinato quarant’anni fa

Suona quasi come un imperativo, un antico monito ad aderire ai riti della morte e della memoria, “Vivi nel ricordo”, il nome che l’Assessorato alla Cultura del Comune di Napoli, capeggiato da Nino Daniele, ha scelto per il programma di iniziative, dal 31 ottobre all’8 novembre, che animeranno la città con la riflessione intorno al culto dei morti, quello antichissimo, di origine pagana, dalla Magna Grecia al mondo romano, e quello contemporaneo, che passa per la riscoperta dei cimiteri monumentali, per la messa in scena delle piece della Nuova Drammaturgia Napoletana, che sintetizzò i retaggi antropologici col racconto popolare e col lavoro geniale sulla lingua dei napoletani, e per il ricordo dei poeti estinti, nel senso della irrinunciabile attualizzazione della loro eredità intellettuale.

È il caso, nell’ambito del vasto programma consegnato alla Città dall’Assessorato alla Cultura, delle visite guidate alle sepolture delle Fontanelle, di Santa Maria del Pianto, di Poggioreale, ed alle tombe più antiche, il tumulo di Virgilio, gli Ipogei Greci del rione Sanità, del cui valore inestimabile si prende amorevole cura l’associazione Celanapoli capitanata da Carlo Leggieri. È il caso del teatro, come lo spettacolo “Cleopatra d’e Funtanelle” di e con Fortunato Calvino e Antonella Morea. O ancora delle visite teatralizzate, come “Fantasmi al Castello”, per scoprire il Maschio Angioino, o “Nero Napoletano”, passeggiata al Centro Storico per le mitologie napoletane di Virgilio Mago, Maria D’Avalos, il Principe di Sansevero. E i poeti, come il principe De Curtis, ricordato il 31 ottobre alle 10 dall’iniziativa “ ‘A morte ‘o saje che d’è? È una livella…”; e soprattutto Pier Paolo Pasolini, a quarant’anni dalla vicenda violenta e ancora del tutto opaca che pose fine alla sua vita all’Idroscalo di Ostia.

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«Napoli è una tribù che ha deciso di non arrendersi alla cosiddetta modernità, e questo suo rifiuto è sacrosanto» confidò l’intellettuale complesso e radicalmente antiborghese ad Antonio Ghirelli, durante le riprese del “Decameron”; e continuò, l’autore della impietosa riflessione sul potere contenuta nell’incompiuto romanzo “Petrolio”, parlando della “scelta dell’estinzione” da parte della napoletanità autentica, alla quale si sarebbe sostituita un’altra cosa, che napoletanità già non sarebbe stata più. Sarebbe forse, dunque, rimasto stupito Pasolini, se fosse stato ancora qui con noi a constatare quanto la napoletanità sia stata invece in grado di evolvere senza perdere di profondità antropologica e vividezza: “Il migliore modo per celebrare Pasolini è attualizzarlo, domandarci seriamente cosa avrebbe pensato, detto e fatto lui davanti a ciascuno dei bivi della modernità che la nostra civiltà, la civiltà napoletana, si trova ad affrontare”, ha detto il maestro Roberto De Simone, intervenuto per presentare il suo “Concerto Celebrativo per Pier Paolo Pasolini”, in programma la sera del 2 novembre al Teatro Mediterraneo di viale Kennedy. 

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In programma le Bachianas Brasileiras di Heitor Villa Lobos, che il maestro De Simone racconta di avere scelto perché risultato della commistione tra la musica di Bach, tanto cara a Pasolini, dalla pellicola sul “Vangelo Secondo Matteo” ad “Accattone”, e la musica popolare brasiliana, all’insegna di una operazione di mimesi culturale ispirata a quella compiuta dall’antropologo francese  Claude Lévi-Strauss coi suoi “Tristi Tropici”, del 1955. «Ho scelto questo Villa Lobos perché la sua operazione mi ricorda quella compiuta da Pasolini quando decide di inserire la “Zeza” di Mercogliano nel suo “Decameron” da Boccaccio», aggiunge il maestro De Simone. E ancora, l’epicedio di Giovanna Marini in morte di Pasolini, cantato da Raffaello Converso; e “Il soldato di Napoleone”, per le musiche di Sergio Endrigo e il testo del poeta stesso: ancora una commistione di registri tra Dante e il pop, per mettere in musica la favola delle origini della madre del poeta la quale, si canta, discenderebbe da un soldato napoleonico salvatosi dalla disfatta russa al sicuro nella pancia di un cavallo, poi liberato da una fanciulla polacca che gli avrebbe dato la sua discendenza.

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E infine “Samba de roda per il Papa”, di Roberto De Simone e Antonello Palliotti che canta, ci dice il maestro in persona “quello che Napoli non è: non la Napoli milionaria delle perenni celebrazioni eduardiane borghesi e autorefenrenziali, che tradiscono lo spirito del teatro di Eduardo; non la Napoli della canzonetta, tra ville con piscine e lune rosse; non l’affresco alla moda della camorra, disgiunto dal racconto delle connivenze con lo Stato. Napoli – conclude De Simone – non è la maschera nera di Pulcinella, se essa non rappresenta pure la negritudine di tutti i senza lavoro”, e ci pare di intuire che il maestro si riferisca ecumenicamente a tutti i napoletani, vecchi e nuovi. E infine una considerazione sulla Napoli- costellazione culturale, sulla Napoli-pars pro toto: «la Madonna di Napoli è quella misconosciuta e antica di Sant’Anastasia piuttosto che quella “istituzionale” di Pompei, che è venuta dopo. E se a Pasolini avessi potuto chiedere: “Te piace ‘o presepio?”, egli mi avrebbe quasi certamente risposto “la Madonna di Napoli mi piace”».
Da segnalare infine la lettura integrale degli “Scritti Corsari” a cura di Giovanni Meola, sabato 31 ottobre dalle 20 alle 23.30 presso il chiostro di San Domenico Maggiore.

Rosa Criscitiello
Uno spettacolo si può preparare in un mese. Improvvisare, invece, richiede una vita. (Pino Caruso, Ho dei pensieri che non condivido, 2009).

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