LA SORGENTE EDUCATIVA. E le parole che non ti ho detto

detenuti

Nella nostra mente i detenuti sono una categoria, un concetto astratto legato a qualcosa di negativo. «E’ gentaglia finita in carcere perché non ha saputo tenersi lontana dai guai. Stanno dentro e ci devono restare fino a quando non avranno scontato tutta la pena». Punto. I detenuti non hanno un volto, un nome. Non sono persone, sono numeri in un telegiornale: «Cinque in una cella progettata per tre», «otto arresti per droga», «15mila in più dello scorso anno» e così via. Poi un giorno ti fermi a leggere e parole di una lettera: «Sono nato e cresciuto in un quartiere dove le parole hanno il sapore amaro, perché amari sono i fatti che le voci cercano di raccontare, descrivere, esorcizzare: urla e sputi di mitraglia. Il piombo pesa per chi se ne va ma ancora di più».  Sono le righe scritte da uno dei detenuti che hanno partecipato al progetto «Sorgente educativa», e al concorso letterario che quest’anno ha avuto come titolo «Le parole che non ti ho detto…». L’idea è semplice: dare ai detenuti adulti e minori l’opportunità di raccontare, attraverso lettere scritte a chiunque (se stessi, parenti, amici reali o immaginari) cose mai dette. E così, leggendo quelle parole, ti accorgi che dietro una categoria astratta si inizia a intravedere un volto, i lineamenti ti appaiono sempre più chiari. E immagini un nome per quella faccia, e una storia. Capisci che la vita non è sempre facile e che spesso dietro ogni errore c’è sofferenza. Ecco qual è l’importanza di progetti come questi: danno l’opportunità a chi ha sbagliato di rimettersi in piedi, di ritrovarsi. Perché a volte le parole sono anche più forti delle pallottole.

Raffaele Nespoli

Raffaele Nespoli
Chi non conosce la verità è uno sciocco. Ma chi, conoscendola, la chiama bugia, è un delinquente. (Bertolt Brecht)