POLITICA E MIGRANTI. L’ipocrisia di chi non sa più indignarsi

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Pochi secondi trasmessi tra una notizia di politica e una di sport. Un barcone stracarico di poveracci e il commento dell’ennesima tragedia del mare. L’ultimo episodio è quello che ha insanguinato le cose libiche: un’imbarcazione carica di migranti è affondata al largo di Tripoli, portandosi via almeno 40 anime. “Migranti”, è  questa l’ultima definizione politicamente corretta. Non sia mai a chiamarli clandestini o immigrati, succede il finimondo. Chi sa se anche loro, i migranti, danno la stessa importanza che diamo noi al nome con il quale vengono chiamati. Migranti, clandestini, immigrati… Chi sa che invece che non diano più importanza ad altri dettagli: ad esempio ritrovarsi, per quelli che ce la fanno, in un centro di accoglienza e non in una specie di campo di concentramento. E’ una politica strana la nostra, tutti pronti ad indignarsi se qualcuno infanga la dignità di chi fugge dalla guerra usando la parola sbagliata; nessuno, o quasi, pronto a battersi per quello che realmente conta. Forse perché in politica, almeno in una certa politica, le parole contano ormai più dei fatti. E così, un po’ tutti, ci siamo assuefatti a questo modo di pensare e di agire. Ci basta essere politically correct per sentirci a posto con noi stessi. Del resto, cosa possiamo fare. Abbiamo perso la capacità di indignarci, di lottare e protestare per le cose che realmente contano. Così, quando vediamo scorrere al tg le immagini di quei barconi, il massimo della reazione che siamo in grado di produrre è un sospiro: “poveracci” pensiamo. Ma il tempo di dirlo è già bastato a lavare le nostre coscienze.

Raffaele Nespoli

Raffaele Nespoli
Chi non conosce la verità è uno sciocco. Ma chi, conoscendola, la chiama bugia, è un delinquente. (Bertolt Brecht)

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