NELSON MANDELA E LA FORZA DELLA MUSICA. Arte e rivoluzione nella vita di Madiba

Mandela Musicisti

A pochi minuti dalla diffusione della notizia della morte di Nelson Mandela (Mvezo, 18 luglio 1918 – Johannesburg, 5 dicembre 2013), animatore assoluto, con l’appoggio del presidente bianco Frederik Willem de Klerk, della battaglia per l’abolizione dell’apartheid, andata a segno all’inizio degli anni Novanta con la sua stessa elezione nel ’94 a primo presidente nero del Sud Africa, si sono immediatamente diffusi su bacheche e timeline di tweets i versi della composizione Invictus del poeta del secondo Ottocento inglese  William Ernest Henley. I am the master of my fate/ I am the captain of my soul (Io sono il signore del mio destino/ io son il capitano della mia anima): sono I versi finali della poesia, quelli che hanno ispirato di più gli utenti social; quelli che, assieme agli altri che compongono la poesia, Mandela in persona indicò come la lettura della vita. La lettura, vale a dire, che animò il suo spirito rivoluzionario e la resistenza leonina a poco più di 25 anni di carcere, quelli che il leader anti-apartheid, scomparso lo scorso 5 dicembre, dovette scontare, per la giustizia sudafricana, per “viaggi illegali all’estero e incitamento allo sciopero”, quando si fece comandante e prima fondatore dell’ala armata Umkhonto we Sizwe dell’ANC (“Lancia della nazione”, o MK) e coordinò la campagna di sabotaggio contro l’esercito e i piani del governo, ed elaborò una ipotesi di guerriglia contro l’apartheid. Ma il legame con la poesia di Henley (il cui titolo ha ispirato Clinton Eastwood per l’onomima pellicola sulla vita dell’eroe sudafricano) è solo il primo e più intimo sintomo dell’enorme rispetto per l’arte e per il suo potenziale rivoluzionario sugli uomini, potenziale nel quale Madiba (il suo nome per l’etnia Xhosa, alla quale la sua famiglia apparteneva) credette con profondità assoluta, fino e fare dell’arte, della musica in particolare e soprattutto della grande musica mainstream occidentale con le più sensibili tra le sue super star, uno strumento politico nel senso più ampio del termine. Parliamo dei rapporti con queste star, consolidatisi in alcuni appuntamenti entrati nella storia, quella della musica e quella con la “S” maiuscola: il concerto allo stadio di Wembley, Londra, del 16 aprile 1990, Tata (Papà) Madiba rilasciato da poco più di due mesi; Mandela era presente a Londra, parlò delle sue prigioni ottenendo quasi dieci minuti di applausi. Tutto tra le performance di, tra gli altri, l’appena scomparso leone del rock Lou Reed, che con Neil Young e Peter Gabriel intonò la leggendaria versione di Biko, dedicata all’ attivista sudafricano anti apartheid, Stephen Biko, morto per mano della polizia sudafricana del 1977.; ed ancora Tracy Chapman, Terence Trent D’Arby, Chrissie Hyinde  (Pretenders), Simple Minds, Little Steven, Jackson Browne, Daniel Lanois, Youssou N’Dour. Ma ricordiamo pure gli omaggi spontanei di rock e pop star occidentali quando Mandela era ancora in carcere: la leggenda della chitarra elettrica Carlos Santana e quella del sax Wayne Shorter crearono insieme “Mandela” per denunciare la condizione del futuro premio Nobel per la Pace. E la canzone “Free Nelson Mandela” di The Special A.K.A. (1984), “Bring him back home”, la canzone di del virtuoso africano della tromba e del flicorno Hugh Masekela, e su tutti il Principe delle Tenebre Miles Davis, che con la sua incredibile tromba omaggiò Mandela con “Full Nelson” in “Tutu”, l’album del 1986 interamente dedicato al Sud Africa che prende il nome da quello di Desmond Tutu, primo arcivescovo anglicano di Città del Capo.

Rosa Criscitiello

Rosa Criscitiello
Uno spettacolo si può preparare in un mese. Improvvisare, invece, richiede una vita. (Pino Caruso, Ho dei pensieri che non condivido, 2009).

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