TESTE MATTE. Il romanzo di Salvatore Striano e Guido Lombardi è un successo.

“Tutti possiamo morire. Ogni giorno. Ma non tutti viviamo con questo pensiero. Non tutti pensiamo che ogni volta che mettiamo il piede fuori di casa possiamo essere uccisi”.

Con queste parole si apre “Teste matte” (Chiarelettere editore) il libro scritto a quattro mani dal regista Guido Lombardi (vincitore tra l’altro del Leone del Futuro - Premio Venezia Opera Prima Luigi De Laurentiis alla XXVI Settimana Internazionale della Critica della Mostra del Cinema di Venezia) e Salvatore Striano, attore di talento (“Cesare deve morire” dei fratelli Taviani, “Gomorra” di Garrone, “Take Five” di Lombardi) entrambi partenopei.
Il romanzo (già in ristampa con ben 7000 copie vendute in soli dieci giorni) si ispira alle vicende personali della vita di Striano, tra la camorra, il carcere e il riscatto.

Guido Lombardi, come nasce questo romanzo?
“Il romanzo nasce dall’incontro tra me e Salvatore, avvenuto anni fa e favorito da Gaetano Di Vaio, il produttore dei miei due film. Fu Gaetano a dirmi che Sasà, che io avevo ammirato in Gomorra di Matteo Garrone, aveva una storia importante da raccontare, quella del gruppo criminale di cui aveva fatto parte in gioventù, appunto le Teste Matte. L’idea era di farne un film. Magari un giorno si farà. L’anno scorso abbiamo cominciato a scrivere un soggetto e dopo un anno ci siamo ritrovati in mano un romanzo di 624 pagine. La storia insomma era più ricca e incredibile di quanto mi immaginassi all’inizio”.

Chi sono Le Teste Matte e qual è la loro storia?
“Le Teste Matte sono un caso piuttosto unico nella storia della criminalità napoletano, una specie di scheggia impazzita provocata da un vuoto di potere ai Quartieri Spagnoli. Per un paio di anni, all’inizio degli anni 90, sono stati in guerra con i vecchi boss dei Quartieri Spagnoli, a loro volta alleati con il resto dei clan di Napoli per amicizie storiche che risalivano ai tempi della loro unione per combattere contro Cutolo. In pratica hanno fatto guerra a mezza Napoli. La particolarità di questo gruppo è che erano quasi tutti molto giovani, appena maggiorenni e il gruppo stretto non più di una decina di persone. Ma soprattutto molti di loro erano animati da sentimenti che potrei definire di anticamorra, nel senso che erano rapinatori, ladri, banditi taglieggiati dalla camorra dei Quartieri e che a questa si sono in qualche modo ribellati. Per sopravvivere. Dai racconti di Sasà ho scoperto qualcosa che non immaginavo, ovvero che le principali vittime di estorsioni sono proprio quei piccoli criminali che vivono di furti, rapine e spaccio. In una zona in cui parte dell’economia deriva proprio da attività illecite come i Quartieri Spagnoli degli anni 80/90, questi ragazzi che si ribellavano ai boss, furono considerati quasi dei paladini dal popolino vessato dalla camorra: “noi vogliamo a voi perché voi siete giusti”, così gli dicevano le persone. E li appoggiavano e sostenevano, offrendo ripari nei loro bassi in caso di agguati. Fu un periodo molto sanguinoso, come quello che sta accadendo adesso a Napoli. M’interessava questo cortocircuito per cui, per un breve periodo, la soluzione spontanea che un territorio trovò per combattere la camorra, che è essenzialmente prepotenza, fu quella di usare le sue stesse armi, pistole e kalashnikov. Conquistato il potere, il gruppo andò in crisi, si spaccò: da una parte quelli che volevano continuare a comandare, la tentazione cioè di diventare loro stessi dei camorristi veri e propri, strutturati, e chi quel modo di vivere basato sulla prepotenza continua non si riconosceva. E’ una storia poco conosciuta, ma che secondo me valeva la pena di raccontare. Anche perché Sasà era lì quando accadevano queste cose”.

Teste matte

Nel romanzo Sasà, il bambino protagonista, deve compiere una scelta se vuole sopravvivere, esattamente come il protagonista del film “La bas”.
Sì, m’interessano queste vite di gente messa con le spalle al muro. Forse è il mio modo di spiegare da dove nasce la violenza, in un mondo in cui tutti i bambini nascono buoni. Accade un momento in cui si supera il limite e non si torna più indietro. Alla fine del libro Sasà incontra uno di questi personaggi, evocato durante tutto il libro, un vero cattivo, che come un diavolo tentatore gli offre il potere. E’ come se tutto il libro fosse un lungo cammino di formazione per arrivare di fronte a quel bivio e compiere la scelta definitiva. Mi viene in mente quando da piccoli, le insegnanti che si assentavano per qualche minuto, mettevano uno alla lavagna a scrivere i nomi di quelli che si comportavano bene o male durante la sua assenza sotto la scritta Buoni e Cattivi, separati da una linea di gesso. Ecco forse a me incuriosisce raccontare quella linea, come e perché avviene il passaggio.

Dirigere storie o scrivere storie?
“Fare un film richiede un sacco di risorse, umane e di denaro, è un’opera molto più collettiva. Ma diciamo che nella scrittura di questo libro ho fatto un po’ da sceneggiatore, che è poi quello verso cui mi sento più portato. Con Sasà che era un fucina di dialoghi e di aneddoti, ho fatto un lavoro di direzione, selezionando le cose da raccontare, facendo emergere un personaggio piuttosto che un’altro, chiudendo una scena prima o dopo a seconda del ritmo che doveva avere il romanzo, per poi dedicarmi ad un lavoro più letterario, di cesello diciamo, quando tutto il materiale era stato messo a terra. Diciamo che ho messo a fuoco e diretto quell’enorme massa di ricordi che Sasà si porta dentro e forse ancora sulle spalle”.

Salvatore Striano, il suo percorso di vita l’ha portato dal carcere al cinema ed ora alla scrittura. Perché ha scelto di raccontare questa storia?
Nelle pagine iniziali faccio una dedica molto speciale: Alle vittime, ai giovani strappati alla vita. Vi chiedo perdono con tutto me stesso. Questo libro è un regalo a tutte quelle anime.

Come è cambiata la camorra di oggi rispetto a quella degli anni ’80- ’90?
Voglio subito sottolineare che la camorra, quella di ieri come quella di oggi, è tutta da condannare. Oltre vent’anni fa, però, esistevano delle regole. E’ strano dire una cosadel genere, ma è così. Oggi invece, con i boss in galera, la piccola delinquenza hapreso il sopravvento e bande di ragazzini, per un nonnulla, accoltella e spara. Sono molto più pericolosi ma anche, a mio parere, più facili da recuperare. Ci vuole amore per questi ragazzi, impegno sul territorio, laboratori teatrali che li coinvolgano e questo purtroppo non c’è. Ai Quartieri spagnoli come nella Sanità queste cose mancano nonostante quello che si dice o si fa vedere.

C’è la possibilità che questo romanzo si trasformi in un film?
Mi piacerebbe molto, anche perché con Lombardi siamo partiti da un soggetto cinematografico. In questo film, però, voglio mostrare anche tutto ciò che c’è dietro la macchina da presa, quello che gli americani chiamano back- stage, ovvero la finzione. La gente, infatti, confonde il cinema con la verità e questo non deve accadere più. Quel che è certo è che l’anno prossimo scriverò un nuovo libro insieme ad un magistrato per raccontare la mia giustizia.

 

 

Enrica Buongiorno
Chi parla male, pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giuste: le parole sono importanti!