SANREMO 2016. Gli scintillii tristi della prima serata e qualcosa di cui sparlare da stasera in poi

All that glitters is not gold, “non è tutto oro quel che luccica”, ci ricorderebbe con perfetto accento britannico Sir Elton John, superospite della prima puntata della già moscia e autoreferenziale saga del sessantaseiesimo festival della canzone italiana. Si, perché, nonostante i buoni dati d’ascolto (11.134.000 spettatori col 49,5 per cento di share, poco peggio della prima dello scorso anno, che registrava 11.685.000 di spettatori col 49,6 per cento di share), il Festival 2016 appare lento e vuoto, vuoto di presenze in palco e idee di spettacolo e, soprattutto, vuoto di musica, buono solo a fare da balsamo per un Paese in piena e, ça va sans dire, narcisistica crisi di identità. Il debutto del Festival numero 66, al quale manca evidentemente il terzo 6 per fare la cifra satanica che piace tanto a metallari e catastrofisti, è stato anticipato, tra le altre cose, dai cupi dettagli delle eccezionali misure antiterrorismo, a evocare timori a buon mercato per improbabili effetti-Bataclan (good news, no news, no?). E, a rincarare la dose, dagli anatemi del leader del Family Day Mario Adinolfi e dei suoi contro la presenza di Elton John, padre di Zac grazie all’utero “in affitto”, ricaduta controversa del ddl Cirinnà, il cosidetto decreto sulle unioni civili e stepchild adoption, questa mattina all’esame del Senato. E Matteo Salvini a far da sponda: il giovane leader del Carroccio non si è fatto infatti sfuggire l’occasione della polemica con la Rai, soprattutto in riferimento al provvedimento anti-evasione che ci conteggerà, dalla prossima estate, il canone TV direttamente in bolletta, e ha scritto stamattina sul suo profilo Facebook che “strapagare il signor Elton John per esaltare le adozioni gay è una vergogna […] il canone se lo paghino loro, magari dopo aver affittato l’utero”.
Ma “risuona un mambo nella cavea, e il mondo semplicemente gira”, per dirla col maestro Franco Battiato (che è nella città dei fiori in spirito, e forse non solo in spirito, a vegliare sul suo protetto Giovanni Caccamo, quest’anno in gara tra i big), perciò è il caso di correre a mettere le mani in pasta dentro i meccanismi della gara e gli esiti della prima serata. Prima di tutto, ieri abbiamo fatto la conoscenza del team di conduzione per quest’anno, che pare reggere tutto sulle forze, invero belle appannate pure per totale assenza di sponde all’altezza, di Carlo Conti. E mentre la bellissima Mădălina Diana Ghenea, classe ’88, si colloca pacificamente nel tradizionale solco delle vallette e basta, con l’usuale corredo di battute e scambi triti e “telefonati”, come si suole dire nel teatro di prosa (quello vero!), ci saremmo invece aspettati più cotillon e soprattutto più trasformazioni dalla talentuosa attrice e imitatrice Virgina Raffaele, nel solco di colleghe altrettanto brave e decisamente più polimorfe come Emanuela Aureli. Infine Garko.

Sanremo I serata (ph. Vanity Fair)

Ci avevate promesso dell’autentico fascino maschile in scena per quest’anno (non me ne voglia il buon Carlo!) e invece ci avete ingannate e ingannati: dov’è finito l’irresistibile Gabriel dei tempi della relazione con Eva Grimaldi? E il più che credibile interprete de “Le fate ignoranti”, la pellicola del 2001 per la regia di Ferzan Özpetek, nella quale Garko interpretava Ernesto, giovane omosessuale malato di Aids? L’uomo in palco a Sanremo è l’ombra di tutto questo: forse confuso per il recente, grave incidente subito, e, piuttosto, provato dalla performance della conduzione, Garko appare svagato, troppo truccato (è una tintura per capelli, quella? Sono sicura che quel nero corvino è fuorilegge da un po’, almeno tra le persone ragionevoli e mediamente dotate di gusto) e gonfio più per un sospetto di botulino che per le emozionate veglie pre-kermesse. Auguriamo comunque (e in nome del più puro degli egoismi!) a Gabriel una ripresa psico-fisica il più rapida possibile, in vista delle prossime serate. Questa sera si esibirà il secondo blocco di big, e vale a dire Dolcenera con “Ora o mai più”, Clementino con “Quando sono lontano”, Patty Pravo con “Cieli immensi”, Valerio Scanu col brano “Finalmente piove”; e ancora la neo-big Francesca Michielin, consacrata dal successo della bella “L’amore esiste” e adesso in gara con “Nessun grado di separazione”, dalla quale ci aspettiamo finalmente bei suoni e liriche interessanti ed intense. A completare la rosa Alessio Bernabei con “Noi siamo infinito”, gli Elii di Rocco Tanica, rutilante commentatore dalla sala stampa, con “Vincere l’odio”, il campano Neffa, l’altra grande speranza in termini di originalità degli arrangiamenti, con “Sogni e nostalgia”, Annalisa con “Il diluvio universale” e i redivivi Zero Assoluto con “Di me e di te”. Prevista sempre per questa sera, nella prima parte dello show, pure la carrellata delle otto nuove proposte, tra le quali Cecile col brano “N.E.G.R.A.” a Alessandro Mahmoud con “Dimentica”; e ancora Chiara Dello Iacovo con “Introverso”, l’artista Mescal Ermal Meta con “Odio le favole”, Francesco Gabbani con “Amen”, Irama con “Cosa resterà”, Miele con “Mentre ti parlo” e Michael Leonardi con “Rinascerai”. Il superospite musicale più atteso è certamente Eros Ramazzotti: a trent’anni esatti dal debutto sul palco dell’Ariston, il cantautore pop romano torna a Sanremo con una carriera appannata e i fasti dei tour mondiali appena dietro l’angolo, esattamente come la Pausini della prima serata, probabilmente a tentare di far bene alla sua propria carriera ancor prima che allo show. Attese inoltre la ex bella (e sin troppo botulinica anche lei) Nicole Kidman e la cantante e electro-polistrumentista inglese Ellie Goulding, nota prima per essere stata la fidanzatina del mago losangelino della dubstep Skrillex e oggi per il successo dell’album “Delirium” del 2015, dal quale è tratta  ”Love Me like You Do”, che ha fatto guadagnare alla giovane e biondissima elettro-singer un Grammy, lo scorso dicembre, nella categoria  Best Pop Solo Performance.

La serata che ci lasciamo con sollievo alle spalle ci ha invece trovati in compagnia di un’asta di microfono addobbata coi nastri policromi dei diritti civili, a fomentare ulteriormente i malumori degli Adinolfi e Salvini di cui sopra: l’ha portata in palco Noemi, che ha cantato per seconda dopo un Lorenzo Fragola che, con “Infinite volte”, occhieggia alla carriera dei tre tenorini de Il Volo ma in versione pop e che, rispetto al target, non è dispiaciuto proprio del tutto. La rossa cantante romana, al secolo Veronica Scopelliti, ha cantato invece “La borsa di una donna”, e il senso delle liriche risente mostruosamente dell’influsso ispiratore della madrina, rossa pure lei, Fiorella Mannoia (penso a versi quali “E se ci trovasse quei giorni/D  carezze fra i capelli/Lei per due minuti soli/Pagherebbe mille anni”); ma l’arrangiamento prevede qualche suono nuovo ed è, in questo senso, assieme a Rocco Hunt e Bluvertigo, tra le poche cose che, in termini di gusto musicale, sembrano superare un 1993 che aleggia come un fantasma sull’edizione 2016 del Festival, a partire dall’omaggio all’esibizione di quell’anno de “La solitudine”, interpretata da una imberbe Laura Pausini, ieri superospite dal côte internazionale, soprattutto auto-attribuito. A quanto pare i giovani Dear Jack hanno detto che i loro suoni e quelli della canzone proposta, dal titolo “Mezzo respiro”, ricordano quelli dei Linkin’Park, e noi qui facciamo tutto il possibile sforzo di fantasia richiesto per avallare l’aderenza, ma alla fine ci ritroviamo col ricordo della performance sbavata di una giovane band che è il solito frankenstein male amalgamato di vincitori di talent. Il protégé di Franco Battiato, Giovanni Caccamo, non più al pianoforte come nella performance del 2015 che lo portò alla vittoria, canta con Debora Iurato “Via da qui” un pezzo fine ma piuttosto trasparente. Al medley della Pausini superospite seguono gli Stadio che, ottimi e blasonati autori, sembrano però cantare per loro stessi sempre la stessa canzone, e Gaetano Curreri sembra afono (e non è il solo, in parecchi abbiamo pensato a un difetto di fonia che ha tenuto su troppo e male le voci e tagliato tutte le frequenze che non fossero medie, appiattendo ogni musica) quando canta “Un giorno mi dirai”. E se Arisa esibisce la miglior voce e interpretazione ma pure il peggior look del Festivallo (la canzone è “Guardando il cielo”, la mise è una specie di deforme polo in cachemire chiaro poco sopra il ginocchio), Enrico Ruggeri sembra essere richiamato, come suggerisce il mio geniale amico, lo scrittore e chitarrista Marco Paiano, indietro dal 1993 dal flusso canalizzatore della mitica DeLorean di “Ritorno al futuro” con “Il primo amore non si scorda mai”, una balalaika del Terzo Millennio, per dirla ancora con l’autore del romanzo “Encore”, che ho avuto l’onore di accompagnare alla batteria in una delle garage band della nostra infanzia (those were the days!). Rubo ancora a Marco per dire che i Bluvertigo mescolano la canzone d’autore à la Umberto Bindi coi soliti Depeche Mode, ma credo fermamente che il pezzo vada riascoltato in album version, e almeno con una fonia migliore: la canzone qui è  ”Semplicemente”. Guadagna poi il palco Elton John, e si, non è tutto oro quel che luccica: le pailette sulla giacca sono quelle polverose di una Gloria Swanson sul suo personale Sunset Boulevard. Il geniale autore di “Your Song” appare imbolsito nella linea, e soprattutto musicalmente, il pianoforte sembra una spinetta ma non è colpa sua, la voce è sforzata che manco un principiante. Avesse fatto “Don’t go breaking my heart”, ma nella versione con Ru Paul da “Duets” del 1993, avrebbe conservato il mood “a spasso nel tempo” e ci avrebbe fatti ballare. E io penso che dopo aver visto tremendamente da vicino il mio mito personale, quel Morrissey che un tempo fu anima e leader carismatico dei The Smiths, (ero nella produzione della data dell’Augusteo di Napoli lo scorso 7 ottobre 2015), rischio veramente di non riuscire a conservare più miti. Non aprioristicamente, almeno. Chiudono il giovane Rocco Hunt, funky ma non troppo e con riff di chitarra che ricordano, e forse omaggiano, quelli del connubio Pino Daniele/Richie Havens, con “Wake up” , e la bella e bene utilizzata voce della Figlia di Zucchero, Irene Fornaciari, con “Blu”.

Così, ci portiamo via dalla prima serata, e nei nostri personali salotti-stampa, un team di conduzione piuttosto irrilevante, comici che non fanno ridere (pollice verso per Aldo Giovanni e Giacomo, la Gialappa’s del dopo festival si gioca la carta della nostalgia da Mai Dire Goal, e il gioco riesce), una fonia di sala che ci taglia via buona parte degli ascolti, la solita sostanziale mancanza di coraggio musicale, un superospite bollito. Mettiamoci pure che stamattina ho litigato con un musicista emergente (ma poi abbiamo fatto la pace), che mi tocca vedere tutte le altre quattro sere, che Garko, oltre a essere rifatto, è pure juventino. Insomma, questa è ufficialmente la settimana di Sanremo, ma pure della sfida campale Juve-Napoli, che fa tremare Conti e i suoi per via degli ascolti, in buona parte presumibilmente dirottati sul match; e rispetto all’appello del Carlone nazionale a “registrare la partita e guardare il Festival” fa storia la risposta Instagram di Paolo Cannavaro, che definisce la provocazione del conduttore, testuali parole, “a strunzat ro secol”. E dunque non pare proprio essere la settimana giusta per risolvere eventuali contenziosi in essere con presentatori, calciatori, musicisti, musicofili, giornalisti, tecnici del suono, juventini. Tutto rimandato a San Valentino che, tutto sommato, è l’anniversario di una decapitazione. Buon Festival a tutti, e naturalmente forza Napoli.

Rosa Criscitiello
Uno spettacolo si può preparare in un mese. Improvvisare, invece, richiede una vita. (Pino Caruso, Ho dei pensieri che non condivido, 2009).

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