IL CROCIFISSO SU FALCE E MARTELLO NON E’ BLASFEMO

Un’espressione apparentemente difficile da decifrare: incredulità? contrarietà? stupore? curiosità? imbarazzo? offesa? incomprensione?

Oppure sarà proprio quell’espressione del volto il più eloquente monito a prendersi cura degli ultimi, dei poveri, degli “scartati”?

La scena è quella dello scambio dei doni, una delle consuetudini più formali e probabilmente più ipocrite del cerimoniale diplomatico: il presidente Evo Morales, socialista alla guida di una Bolivia primo Stato dell’America Latina per crescita economica, ha voluto rendere omaggio al Papa argentino venuto dalla fine del mondo con un regalo originale, ma nient’affatto blasfemo.

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La riproduzione di un crocifisso creato dal confratello gesuita di Francesco, padre Luis Espinal S.J., detto Lucho, scrittore e critico cinematografico, nel 1980 morto martire per mano dell’operazione “Condor”, il piano dei servizi segreti statunitensi teso a sostenere le dittature latinoamericane minacciate dalle influenze comuniste.

Padre Lucho difendeva i diritti degli oppressi e dei lavoratori, lottava per la democrazia e soprattutto per i poveri. Francesco si è recato a pregare sulla sua tomba per onorare la memoria di un sacerdote considerato, come Monsignor Oscar Romero in San Salvador, un pericoloso dissidente politico da eliminare.

Non doveva essere al corrente, peró, che lo stesso Padre Lucho Espinal avesse inventato un singolare crocifisso, scolpendo fra gli scarti della lavorazione del legno un Cristo ispirato a quello di Velasquez, ma disteso su una falce e martello. Così ricorda un altro confratello gesuita, padre Xavier Albó S. J., compagno di stanza del defunto e custode della scultura che è stata riprodotta dall’artista Gaston Urialde per farne dono al Papa. Non doveva esserne al corrente Francesco, altrimenti non si spiega l’indecifrabile espressione del volto una volta che Morales gli ha mostrato il regalo. Nella cultura sudamericana – Papa Bergoglio lo sa – non vi é il senso di contrapposizione fra cristianesimo e socialismo ancora così forte in alcune regioni d’Europa.

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Falce e martello, è vero, sono almeno dal 1917, quando Lenin le volle nella bandiera sovietica, il simbolo internazionale del comunismo e ricordano gli imperdonabili  eccidi e delitti commessi in nome di quella ideologia. Sotto questo aspetto, rappresentano un simbolo carico di male. Tuttavia, non si può dimenticare che sono anche i segni del lavoro nella sua più nobile accezione. Quando Bettino Craxi li epuró dal garofano del PSI, i vecchi militanti socialisti protestarono vibratamente ma senza esito, gridarono alla cancellazione dell’alleanza proclamata da quel logo dove il sol dell’avvenire sorgeva sui lavoratori dei campi e delle officine adagiandosi sul libro aperto della cultura. Quante masse hanno in buona fede creduto in quei simboli?

È vero che falce e martello sono stati il distintivo del comunismo anche nella sua faccia più feroce, ma è altrettanto vero che milioni di contadini rappresentati con la falce e milioni di operai rappresentati con il martello per un secolo hanno combattuto a favore di un mondo migliore sotto le insegne del movimento socialista, proprio per la liberazione di quegli stessi ultimi difesi dalla chiesa. Non a caso nei canti anarchici e rossi risuonava la rima “Gesù Cristo/primo socialisto”.

In Sud America questa suggestione veniva avvertita proprio negli anni ’70 con l’avanzare della Teologia della Liberazione, ben nota peraltro a Bergoglio, Romero ed Espinal, che pur non avendovi mai aderito ebbero a studiarla a fondo per poi criticarla. Nessuno di loro fu marxista, nè appoggió un’ideologia della religione. Tuttavia capirono quel che un altro gesuita, Padre Pierre Bigot s.j., ha scritto nel suo libro “Quanto la Chiesa deve al Marxismo”, dove riconosce nel pensiero socialista, sebbene in chiave ideologica, le radici dell’opzione preferenziale per gli ultimi alla base della fede cristiana.

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D’altronde, a fronte della nomea di Papa comunista e pauperista, anche Massimo Cacciari, magari pur condividendone il risultato finale, commentando l’enciclica “Laudato si” ha voluto mettere in risalto la discendenza delle conclusioni ecologiste ed anti capitaliste di Francesco, etichettate frettolosamente come pensiero di sinistra, da una matrice teologica divina e fuori da un circuito razionalmente laico.

Bisogna infine chiarire una inesattezza delle notizie circolare a seguito della partenza del Papa dalla Bolivia.  Egli non ha lasciato quel crocifisso su falce e martello a La Paz presso la cattedrale della Madonna di Capocabana, patrona della Bolivia, ma lo ha portato con sè in Vaticano. Ha lasciato i medaglioni del Condor e dello stesso crocifisso che gli erano stati dati insieme alla scultura. Non avrebbe potuto fare altrimenti.

Padre Xavier Albó ha ricordato che il martire Espinal non fosse marxista e che intese con quell’opera indicare – negli anni ancora della Guerra Fredda – la necessità del dialogo fra i cristiani e i social-comunisti, senza dimenticare che il materiale di costruzione della piccola scultura era costituito da scarti, con evidente richiamo agli “scartati” dell’umanità, a quegli ultimi ai quali solo la fede consente di potenziare, con i valori del sacro, il loro anelito di riscatto sociale. E qui torna anche il richiamo agli scarti dei nostri banchetti che sarebbero in grado di risolvere la fame nel mondo, altra metafora cara a Bergoglio.

Non ha rifiutato un dono, il Papa, ma ha potenziato nella fede il bisogno di riscatto di un popolo, rimarcando il confine fra divino e umano.

Dino Falconio

Dino Falconio
Chi non ha il coraggio di difendere le proprie idee o è un uomo che non vale niente o non valgono niente le sue idee!

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